Prendere appunti fa bene alla memoria: secondo la scienza carta e penna aiutano a ricordare meglio dei portatili 

Fonte, L'Huffington Post
Pubblicato: 16/04/2015 

Prendere appunti a mano usando carta e penna aiuta ad interiorizzare e ricordare meglio le informazioni in un secondo momento: si tratta del risultato di una recente ricerca dell'Università di Princeton, che ha dimostrato che gli "amanuensi" hanno meno difficoltà a far proprie le nozioni trascritte. Ma attenzione: nonostante tutto esistono comunque delle situazioni in cui prendere appunti tramite laptop produce risultati migliori.

Pam Mueller, psicologa a capo della ricerca, ha raccontato di essere stata ispirata dal periodo in cui era l'assistente di un professore: abituata a portare sempre con sé il proprio portatile per prendere appunti, un giorno lo dimenticò a casa e fu costretta ad utilizzare carta e penna, rilevando stranamente di aver acquisito molte più informazioni del solito.

La psicologa ha deciso quindi di testare la propria teoria attraverso tre studi differenti, raggruppati poi nell'articolo pubblicato su Psychological Science che ne riassume i risultati.

Prima di tutto ha diviso un classe di studenti in due gruppi distinti, dotando un gruppo di carta e penna e un altro di laptop; subito dopo li ha invitati a seguire unaconferenza TED prendendo appunti.

Al termine dell'incontro la ricercatrice ha interrogato i ragazzi sugli argomenti trattati dalla conferenza ed ha notato che, mentre per quanto riguarda le domande la cui risposta si basava semplicemente sulla memoria i risultati erano simili per entrambi i gruppi, nei quesiti di tipo concettuale basati sulla creazione di collegamenti tra le informazioni a disposizione gli "amanuensi" hanno ottenuto risultati notevolmente migliori.

"Gli studenti che utilizzavano il portatile stavano praticamente trascrivendo parola per parola la lezione" - spiega Muller - "Ma dato che scriviamo più lentamente a mano coloro che prendevano appunti alla vecchia maniera hanno dovuto essere più selettivi, includendo soltanto le informazioni che reputavano più importanti. Questo gli ha permesso di studiare i contenuti in maniera più efficiente".

Nel suo secondo esperimento la psicologa ha chiesto agli studenti armati di portatile di evitare il più possibile di prendere appunti ripetendo in maniera letterale le nozioni spiegate loro; tuttavia questi hanno trovato molte difficoltà nell'esaudire la sua richiesta. "Si tratta di un'abitudine troppo radicata", ha commentato.

Nell'ultimo esperimento, infine, la Muller ha chiesto a ciascuno dei due gruppi di studiare i propri appunti in vista di un'interrogazione che sarebbe avvenuta la settimana successiva. Si aspettava che i portatili recuperassero terreno grazie alla maggior mole di informazioni che permettono di salvare, ma si sbagliava.

"Siamo stati molto sorpresi dal fatto che chi ha utilizzato carta e penna abbia ottenuto risultati migliori anche in questo caso" - ha commentato - "Nonostante avessero una mole di informazioni molto superiore, coloro che hanno fatto uso del portatile non sono riusciti a metabolizzarle in maniera efficiente sin dal principio".

Ma quindi qual è il metodo migliore? Come spiega la ricercatrice, una risposta univoca non c'è:

"Le persone dovrebbero essere più consapevoli del motivo per cui prendono gli appunti in un determinato modo, per quanto riguarda sia il mezzo che il fine. A volte prendere appunti a mano può dare risultati superiori, altre volte il laptop è la soluzione migliore".

Di conseguenza dobbiamo scegliere il metodo attraverso il quale prendere appunti a seconda dell'utilizzo che dobbiamo farne: se, ad esempio, abbiamo necessità di interiorizzare i dati in maniera più profonda (ad esempio durante una conferenza) è maggiormente opportuno utilizzare carta e penna; ma se, al contrario, necessitiamo di un metodo per trattenere più dati possibili (ad esempio nel caso il nostro datore di lavoro ci faccia una lista molto dettagliata dei nostri compiti) affidarsi alle nuove tecnologie è la scelta migliore.

La ricercatrice non auspica il ritorno di carta e penna e l'abbandono dei portatili; vede tuttavia nei nuovi dispositivi dotati di tecnologia stilo una buona via di mezzo per ottenere il meglio da entrambi i metodi dato che "permettono di immagazzinare velocemente una grande quantità di dati ma al contempo invitano ad interiorizzarli durante la trascrizione senza copiarli lettera per lettera".

Essere bilingue ha un sacco di vantaggi: il linguaggio che usi cambia la tua visione del mondo 

Fonte, L'Huffington Post
Pubblicato: 30/04/2015

Per la scienza non è una novità il fatto che parlare due o più lingue porti moltissimi vantaggi. Come hanno confermato tutte le ricerche in materia svolte negli ultimi 15 anni i bilingui hanno migliori prospettive in ambito lavorativo, minore probabilità di essere affetti da demenza senile e sono avvantaggiati dal punto di vista cognitivo. Ma una recente ricerca ha evidenziato dei risvolti ancora più interessanti: a seconda di quali specifici linguaggi i bilingui padroneggino, la loro visione del mondo cambia di conseguenza.

Riuscire a passare da una lingua all'altra senza problemi è un ottimo allenamento per il cervello, utilissimo al fine di renderlo più flessibile, come confermato da diversi test.

Di conseguenza, alla stessa maniera in cui allenare il nostro fisico ci fornisce diversi benefici di tipo biologico, padroneggiare due o più lingue è fonte di diversi benefici cognitivi che saranno evidenti nelle fasi più avanzate della nostra vita: disordini mentali degenerativi come l'Alzheimer, ad esempio, nei bilingui emergono mediamente fino a cinque anni dopo rispetto a chi fa uso di un solo linguaggio.

Come racconta l'Independent un recente studio pubblicato su Psychological Science ha studiato le differenti reazioni a diversi esperimenti di persone in grado di parlare sia il tedesco che l'inglese e di persone che al contrario si esprimono utilizzando una sola di queste lingue.

Ai soggetti sono stati mostrati video rappresentanti eventi di movimento, come un ciclista che si dirige verso un supermercato o una donna che si avvicina alla sua auto. In seguito a queste persone è stato chiesto di descrivere le scene a cui avevano assistito.

Gli scienziati hanno rilevato che coloro che parlano solo tedesco hanno la tendenza a descrivere la scena parlando dell'obiettivo ("una donna attraversa per arrivare all'auto", "un ciclista corre per arrivare al supermercato"), mentre coloro che parlano solo inglese invece si concentravano sull'azione ("una donna che cammina", "un uomo che pedala"). La conclusione a cui sono sono giunti i ricercatori è che il tedesco sia un linguaggio più olistico mentre l'inglese sia una lingua i cui parlanti tendono a focalizzarsi sulle azioni compiute dai soggetti.

Quando lo stesso esperimento è stato effettuato prendendo in considerazione i bilingui, questi hanno dimostrato di essere in grado di passare da una prospettiva all'altra senza problemi: i tedeschi che parlavano anche inglese erano in grado di tenere in piedi un discorso in tutte le sue parti principali ma anche di concentrarsi sull'azione quando si esprimevano in inglese, e l'inverso è accaduto per gli inglesi capaci di parlare tedesco.

Di conseguenza i ricercatori hanno dedotto che i comportamenti dei soggetti variano in relazione al linguaggio da questi adoperato. I palestinesi, ad esempio, associano più probabilmente nomi arabi come Ahmed e Samir a parole con un'accezione positiva in arabo, mentre parlando di nomi ebraici il risultato è diametralmente opposto. Coloro che sono stati coinvolti nell'esperimento hanno inoltre dichiarato di sentirsi diversi esprimendosi con espressioni provenienti da lingue diverse da quella nativa.

Ma c'è di più: coloro che parlando due o più linguaggi sono in grado di effettuare decisioni relative a rischi economici in maniera molto più razionale parlando e riflettendo non utilizzando la propria lingua madre, in quanto ciò li induce a riflettere in maniera più profonda sui rischi presi e sulla loro connessione. La lingua che parliamo, dunque, può davvero cambiare il nostro modo di vedere il mondo.

Dormire poco rende meno intelligenti: secondo la scienza fare le ore piccole fa male al cervello degli adolescenti 

Fonte, L'Huffington Post
Pubblicato: 30/04/2015

Dormire un'ora in meno ogni notte rende le funzionalità del cervello di un diciottenne pari a quelle di un sedicenne: si tratta della scoperta di un recente studio riportato nel libro "NurtureShock: New Thinking About Children" in cui si sostiene che dormire poco ha effetti negativi sullo sviluppo del cervello, fa calare l'attenzione e rende più vividi i ricordi negativi soprattutto per quanto riguarda gli adolescenti.

Gli autori del trattato sono l'esperto di psicologia infantile Po Bronson e Ashley Merryman, giornalista del New York Times. La tesi principale attorno alla quale si sviluppa il libro è basata sul fatto che i moderni sistemi educativi stanno avendo effetti collaterali non trascurabili sugli individui in crescita, in quanto i punti più importanti dello sviluppo infantile e adolescenziale non sono considerati come dovrebbero. Tra questi, appunto, bisognerebbe dare un valore maggiore alle ore di riposo.

"La differenza nelle performance cerebrali una volta sottratta ogni notte un'ora di sonno ai ragazzi in crescita è superiore a quella che ci sarebbe normalmente tra un diciottenne e un sedicenne" - si legge sulle pagine del libro, come racconta il Time - "Quindi le performance scolastiche di un adolescente privato del sonno in maniera costante caleranno in maniera drastica. Dormire meno equivale quindi ad una perdita pari a due anni di sviluppo e maturazione cognitiva".

Ma i risultati dello studio non si fermerebbero qui: ci sarebbe infatti una correlazione anche tra la media scolastica e le ore di sonno degli studenti. Risulterebbe, infatti, che in media gli studenti con più "A" dormano circa quindici minuti in più ogni notte di quelli i cui voti si attestano sulla "B" i quali, a loro volta, riposerebbero quindici minuti in più di quelli i cui risultati sono pari a "C". Questi risultati derivano da uno studio condotto su tremila studenti delle scuole superiori di Rhode Island, condotto da Brown Carskadon.

Non è finita qui: la carenza di sonno renderebbe anche più impulsivi e inibirebbe la capacità di mantenere alta l'attenzione. "Dormire meno affligge la capacità dell'organismo di estrarre glucosio dal flusso sanguigno" - scrive Bronson - "E senza questa importante fonte di energia la corteccia prefrontale, che si occupa delle"Funzioni esecutive" dell'organismo, è la parte del corpo a risentirne maggiormente.

Tra queste funzioni affette dalla riposo insufficiente troviamo l'organizzazione dei pensieri al fine di raggiungere determinati obiettivi, la predizione dei risultati, la capacità di problem solving e la percezione della conseguenza delle proprie azioni. I cervelli poco riposati non riescono a mantenere l'attenzione e gli obiettivi più astratti, come studiare per migliorare i propri voti, passano in secondo piano".

Un cervello stanco dunque persevera negli errori e si blocca più spesso, concentrandosi sulle stesse risposte nonostante sappia che sono errate. Inoltre la stanchezza cerebrale renderebbe addirittura più difficile raggiungere la felicità, in quanto il sistema nervoso di chi fa le ore piccole tenderebbe a rimuovere i ricordi positivi e a portare a galla quelli negativi ogni volta che subentra la stanchezza, come spiega Merryman:

"I ricordi negativi sono elaborati dall'amigdala, mentre quelli positivi sono regolati dall'ippocampo. Ma l'essere deprivati del sonno danneggia il secondo in maniera molto più decisa del primo: è per questo che chi dorme poco tende a ricordare meglio i momenti negativi rispetto a quelli positivi".

Essere disordinato è sinonimo di intelligenza e creatività: i risultati di una una nuova ricerca del neuroscienziato Robert Thatcher

Fonte: L'Huffington Post
Pubblicato: 11/05/2015 

Più sei disordinato, più sei brillante. Può sembrare assurdo, ma è quello che sostiene Steve Johnson nel suo libro “Da dove vengono le buone idee: la storia naturale dell’innovazione”, come racconta il Time. Nell’opera, che si basa sui risultati di un esperimento di neuroscienze effettuato da Robert Thatcher, emerge che la creatività è caotica. Le idee hanno bisogno di "spaziare" e di entrare in contatto con altre idee perché ci sia una scintilla creativa.

Infatti, afferma Johnson, il numero di idee è più alto nelle grandi città rispetto ai piccoli centri. Anche avere più hobby consente al tuo cervello di comparare e risolvere problemi e situazioni, grazie a connessioni che si creano in maniera inconscia. Allo stesso modo, leggere contemporaneamente più libri rende più facile la nascita di nuove idee, cosa che, secondo Johnson, viene più facile a chi tende ad avere una mente che divaga.

Ma chi si specializza non ha nulla da temere. Studiare a fondo un determinato settore, infatti, non sembra limitare la creatività. Anzi, è il vero il contrario: le idee producono altre idee. Tuttavia bisogna essere aperti al confronto perché il dibattito è, secondo Johnson, di gran lunga molto più produttivo. Anche quando si lavora in team, è meglio mettere insieme diversi livelli di esperienza piuttosto che tendere all’uniformità e cercare la perfezione. Anzi, proprio quando non si è al massimo della forma, potrebbero venire buone idee. Il disturbo bipolare e quello di deficit d’attenzione, ad esempio, sono associati ad alti livelli di creatività. Johnson afferma addirittura che quando si è ubriachi o esausti il cervello è predisposto a nuove scoperte.

Alla fine del libro, Johnson raccomanda:

Fate una passeggiata, coltivate le intuizioni, scrivete tutto ma lasciatelo in disordine, scoprite per caso, fate errori, coltivate più hobby, frequentate le caffetterie, seguite i link, lasciate che altri elaborino le vostre idee, prestate, riciclate, reinventate. Costruite un ammasso di intrecci.

"Sorridere cambia il modo di vedere il mondo". Una ricerca mostra come l'espressione facciale influenzi le nostre sensazioni 

Fonte: L'Huffington Post
Pubblicato: 08/04/2015

"Sorridi e il mondo ti sorriderà". A riproporre la famosa citazione non è un film o un libro, ma una ricerca scientifica: secondo lo studio pubblicato sulla rivista "Social Cognitive & Affective Neuroscience", un sorriso stampato sul volto riesce a cambiare le sensazioni di un soggetto, influenzando in positivo il modo in cui vede il mondo. A simili conclusioni era già arrivato, nel diciannovesimo secolo, il famoso psicologo americano William James, secondo il quale "le nostre espressioni facciali o i movimenti del nostro corpo non sono una conseguenza delle nostre emozioni, ma la causa".

Quando qualcosa di positivo accade, sorridiamo e sarebbe proprio questo atto, da solo, a scatenare la sensazione di gioia in noi. Ecco perché, secondo un'altra ricerca riportata dal sito "Science of us", chi si è sottoposto a trattamenti di botox, che hanno avuto come effetto un irrigidimento dei muscoli facciali, è meno portato a provare le immediate sensazioni di benessere scatenate dal sorriso. Più il nostro viso è pronto a sorridere, più il nostro umore ne giova. È quanto hanno dimostrato, negli anni '80, alcuni ricercatori che hanno chiesto ad un gruppo di persone di guardare una serie di cartoni animati. Coloro che guardavano lo schermo mordendo una penna erano più divertiti e più entusiasti rispetto a quelli che, invece, seguivano la storia a bocca chiusa.

Secondo la nuova ricerca, condotta dalla University of London, quando sorridiamo riusciamo anche a recepire in modo diverso le emozioni altrui. Gli studiosi hanno chiesto a 25 partecipanti di sfogliare una serie di foto che mostravano volti sorridenti o con un'espressione neutrale e hanno registrato le reazioni del loro cervello usando un elettroencefalogramma. Hanno così osservato che quando i partecipanti sorridevano guardando l'immagine di un volto neutrale, il loro cervello avvertiva l'espressione della foto come un sorriso. "È la dimostrazione del ruolo fondamentale che l'espressione facciale ha, soprattutto quando si tratta di decifrare quella altrui - scrivono i ricercatori -. Il nostro studio sembra supportare la frase: 'Se sorridi, il mondo ti sorriderà'".